Citazioni


martedì 21 gennaio 2014

loss

Camminavo andando verso la fermata dell'autobus.
La giornata era forse un po' fredda per i miei gusti, ma niente di intollerabile; il cielo era coperto da qualche nuvola, di quelle leggere e soffici che si spostano con il vento.
In realtà mi sono sempre chiesta se siano esse a muoversi o noi, ma probabilmente la risposta risiede in qualche libro di scienze letto in seconda media.
Ho controllato quando sarebbe passato il prossimo bus per il centro, poi ho abbassato gli occhi fissandomi la punta delle scarpe, come faccio sempre per evitare di osservare troppo a lungo il volto dei passanti, immaginando le loro vite e dimenticandomi di quello che mi è attorno fino al momento in cui qualcuno non mi riserva un'occhiata severa.
Mancava ancora qualche minuto, per cui ho appoggiato le spalle alla parete vicino all'entrata del negozio che una volta ospitava un noleggio di dvd e adesso, invece, un negozio di cerniere.
Mi piaceva andare a quella fermata con la certezza che non mi sarei presa troppa pioggia o troppo vento o troppo sole perché potevo infilarmi dentro l'entrata del videonoleggio.
Adesso, invece, dei turchi, credo, hanno comprato quel locale, che ormai palesemente non andava più, e ci hanno aperto un negozio di pellame e cerniere.
Non avevo mai visto un negozio di cerniere in vita mia, mai.
Ma quel giorno, invece, c'era ancora l'insegna del videonoleggio, spenta.
Ho sollevato gli occhi sulla strada, guardando le macchine sfilare di fronte a me, fermarsi qualche istante di fronte al semaforo, osservando i guidatori impegnati nelle più disparate attività e cercando di carpire le emozioni sui loro volti.

Poi, senza alcun motivo apparente, il mio cuore ha perso un battito.
Ed un altro.
Ed un altro ancora.
Mi sono istintivamente portata una mano sul petto, cercando di respirare con la bocca, strizzando le palpebre, ma senza dare troppo nell'occhio, credo che mi sarei sentita peggio se un passante si fosse fermato a chiedermi se stessi bene.
Il cuore ha ripreso a battere, ma a singhiozzi, su e giù, veloce, e poi spento, e poi ancora veloce, e poi niente, volevo solo riprendere fiato e sentivo gli occhi pungermi e la mente obnubilarsi del tutto.
Ho sentito la nausea crescere dal profondo del mio stomaco e spegnersi in gola, e poi ancora una volta, poi ho riaperto gli occhi e ho pensato che l'autobus sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro e io volevo disperatamente prenderlo, non desideravo nient'altro di più: salire in mezzo alla folla, concentrarmi per estrarre la tesserina dal portafoglio, timbrarla, riporla e guardarmi intorno alla ricerca di un posto o del controllore o provare a mantenere l'equilibrio sulle buche.
Con questo pensiero il battito del mio cuore è andato regolarizzandosi e il bus è arrivato qualche istante dopo, facendomi salire, strappandomi da quel momento, ma lasciandomi per sempre una consapevolezza: che un giorno sarei morta.

Non è stata un'aritmia cardiaca a ricordarmi che sono fatta anch'io di carne destinata a marcire, perché già in passato molti dolori fisici avevano provato ad assolvere questo dovere, ma, direi, il contrario: in quel momento, per non so quale divina intenzione, io ho realizzato che sarei morta.
Che era certo.
Che ogni giorno scorreva, che tante vite scorrevano di fronte a me, che il mondo tutto scorreva, e io mi stavo avvicinando di secondo in secondo alla morte.
Non è accaduto molto tempo fa. Non ricordo più che giorno fosse, ma sono certa che fosse Novembre 2012.
Sì, io a Novembre 2012, all'età di 22 anni, ho realizzato che sarei morta.

Che cosa banale, non è vero?
No, non è vero.
Quanti si ricordano il momento esatto in cui hanno compreso, compreso davvero, che un giorno sarebbero morti?
Da piccolo non ci pensi.
Nei cartoni animati i personaggi muoiono in continuazione.
Poi muore il nonno e nessuno te lo dice: è partito, ti dicono, tornerà.
Tu lo capisci che c'è qualcosa che non va e anche se non sai di cosa si tratta, il tuo istinto ti dice che è qualcosa di grave e terribile e sei il primo a non volerne sapere di più.
Tu lo capisci che il nonno non tornerà e piangi, piangi, piangi, anche se non sai perché, perché comunque gli altri ti hanno detto che tornerà, e allora perché sto piangendo?

Poi cresci. Arriva l'adolescenza, la giovinezza, e tutto quello a cui vuoi pensare, o meglio, tutto quello a cui l'umano-medio pensa, è vivere, altro che morire.
Voglio fare nuove esperienze, imparare nuove cose, conoscere nuove persone.
Voglio avere degli amici, innamorarmi, essere felice.
Ancora non ne hai la consapevolezza, ma, sebbene ti ritrovi spesso a pensare alla morte, perché le persone attorno a te, vicine o lontane, conosciute o sconosciute, continuano a morire, non pensi REALMENTE che possa accadere anche a te.
Ho 15 anni, ho 16 anni, 17, ne ho 18, 19.
Non si può morire così giovani. Ho ancora troppo da vedere. La vita è ancora lunga davanti a me.

E allora quando?
Quando si comprende davvero che un giorno moriremo?
Che un giorno tutto ciò che siamo, che abbiamo fatto e che avremmo voluto essere o fare, svanirà nel nulla? Che tutto ciò che era solo nostro, che esisteva nelle nostri menti e nei nostri cuori, non esisterà più?
Semplicemente, cesserà di esistere: un momento prima c'è, l'istante dopo, puff, svanito, per sempre, mai più, non potrà tornare mai più.
Quando realmente è accaduto?
Perché ci si può fermare a riflettere, ma fin quando non accade veramente, tu non lo sai, non lo sai che morirai.

Quel giorno io l'ho capito.
E sì, forse potrebbe sembrare una data decisamente mesta da ricordare, ma non è così: non so in quanti ricordano veramente il momento in cui l'hanno compreso, in cui hanno compreso che tutto sarebbe finito.
E quello è un momento prezioso.
Perché da quel momento in poi tutto assume davvero valore, davvero significato.
Da quel momento in poi ogni cosa che fai, sai che andrà a finire in uno scatolone che, se non condiviso con qualcuno, verrà dato alle fiamme con te, in quell'ultimo giorno.

Non credo esista un modo per affrontare questa consapevolezza, o meglio io non l'ho trovato.
Da quel momento accade spesso che il mio cuore si fermi e io mi ricordi che finirò.
I medici potrebbero anche chiamarla ansia o attacchi di panico, bè, può essere.
Ma io lo so dove tutto è nato.

E' nato tutto quel giorno in cui Angelica Papasergi stava aspettando l'autobus per andare in centro.
E io terrò per sempre stretto a me quel ricordo.
Perché senza di esso, il mio tempo sarebbe nuovamente perduto.


5 commenti:

vorgh ha detto...

Solo considerando il fatto che parli di Angelica, che è stata la donna che mi ha cambiato la vita in una notte, ti adoro.
Considerando il racconto, mi piace tantissimo lo stile che hai usato questa volta. E' molto diverso dai tuoi soliti scritti: l'ho trovato meno carico di malinconia e più una riflessione fredda, per quanto non certamente spensierata. Tutto scorre come se stessimo facendo una chiacchierata davanti ad un caffè, la quale cosa mette il lettore a suo agio, coccolato dalle parole. Grazie, mi sei piaciuta.

Arhal ha detto...

Grazie a te (= Avevi detto che ti mancava Angelica e lei è tornata! =D

Bob ha detto...

Concordo con il collega, soprattutto sulla questione stilistica. E' diverso dal solito ma si vede che sei sempre tu. E ancora, auguri :D

Il Losco ha detto...

Nessuna smentita, come immaginavo. Mi ritrovo da un po' ad aspettare il tuo turno per vedere cosa cacci dal cilindro, e di nuovo non mi hai deluso :)

Arhal ha detto...

Grazie per le belle parole ragazzi, veramente.
E tanti auguri anche a voi (=